Note geologiche su Rocca di Cave

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NOTE GEOLOGICHE SU ROCCA DI CAVE
(a cura di Maurizio Chirri)



La superficie del Lazio vista dalle telecamere dei satelliti, mette in evidenza un paesaggio costituito da un'ampia fascia costiera nella quale si riconoscono dal nord della regione fino al centro rilievi e laghi di origine vulcanica, immediatamente a est si osservano modeste colline di origine sedimentaria recente, solcate a nord dalla rete idrografica del Tevere e al centro e a sud dalle reti idrografiche dei fiumi Aniene, Sacco, e del Liri.

Ancora più a oriente si scorge la fascia montuosa costituita dal rilievo anti-appenninico e appenninico nella quale rientra il resto della regione, con cime che nell'area della Laga raggiungono i 2500 metri.
Nelle valli e montagne appenniniche si distinguono due diverse sequenze di rocce separate da un confine che i geologi hanno denominato linea Antrodoco-Olevano.
Tale confine separa grosso modo i resti di due diversi ambienti sedimentari in cui si suddivideva un antico oceano, formatosi oltre duecento milioni di anni fà. I complessi moti delle placche tra cui quelle Africana e Europea, portarono all'inizio dell'Era Mesozoica, circa 240 miloni di anni fa, alla formazione di un unico supercontinente chiamato Pangea dalla cui fratturazione con direzione prevalente est-ovest si formò un grande oceano denominato Tetide. 

L’Oceano Tetide alla fine del periodo Giurassico, 150 milioni di anni fa (a sinistra).    Ricostruzione paleogeografica delle scogliere e scarpate sottomarine che orlavano il continente Africano nell’Era Mesozoica (a destra); si evidenzia l’antica posizione di Rocca di Cave.


Dunque le rocce che compongono le strutture appenniniche si formarono nell'era chiamata Mesozoica in un vasto bacino marino che separava l'Eurasia dall'Africa. Più precisamente i sedimenti che dovevano successivamente formare le rocce dell'Appennino si depositarono lungo il margine meridionale del mare, ovvero nel settore prospiciente alle coste africane. Un pendio sottomarino "la scarpata oceanica" bordava le coste con isole e lagune verso l'oceano. Nei fondali al centro della Tetide si trovava la grande dorsale medio-oceanica, le cui attività vulcaniche effusive andavano lentamente a costituire le rocce del fondo marino.Possiamo immaginare il paesaggio di questo antichissimo mare, come un ampio golfo tra l'Africa e l'Europa che si andava progressivamente allargando nel corso dei milioni di anni fino a raggiungere ampiezze di oltre mille chilometri. Sul suo bordo meridionale si allungava per centinaia di chilometri una ghirlanda di isole e lagune orientate in quell'epoca da est verso ovest, e il cui complesso definito dai geologi "piattaforma carbonatica" poteva ricordare l'attuale arcipelago delle Bahamas. A non grande distanza dalle coste africane, in ambienti caratterizzati da un clima tropicale, vasti settori della "piattaforma" erano coperti da una sottile lama d'acqua dove proliferavano organismi di scogliera soprattutto alghe e coralli che con i loro apparati scheletrici edificavano imponenti barriere coralligene. Una scarpata debolmente inclinata ed estesa a tratti per molte decine di chilometri raccordava questo ambiente con il mare aperto.

Durante l'Era Mesozoica si verificarono notevoli variazioni del livello dei mari, le linee di costa subirono ampi spostamenti. Particolarmente durante la parte superiore del periodo Cretacico il margine costiero dell'arcipelago si ritirò in direzione dell'attuale est.
Rocca di Cave è una delle poche località dell'Appennino dove affiorano suggestive testimonianze di quell'antichissimo ambiente situato sulle sponde dell'oceano Tetide.
Tavola che illustra i principali fossili che si rinvengono nella zona della paleoscogliera.

Poco fuori dell'abitato di Rocca di Cave lungo la strada per Capranica Prenestina in prossimità di un depuratore abbandonato, si osserva lungo il taglio di una parete rocciosa una sezione del nucleo di una scogliera cretacica, appunto il bordo verso l'oceano della piattaforma di isole e lagune. I detriti rocciosi ai piedi della paretina e altri affioramenti che si osservano lungo un sentiero adiacente, permettono di riconoscere la ricchezza della vita sottomarina della bioherma di 90 milioni di anni fà. Si rinvengono splendidi esemplari di bivalvi chiamati rudiste, estintesi alla fine del Cretacico, in associazione con nerinee, esacoralli ed echinidi, talvolta i fossili si trovano ancora nella posizione che avevano in vita.A poca distanza presso il serbatoio idrico che domina la località chiamata Colle del Pero, altre testimonianze fossili narrano le vicissitudini geologiche dell'area. Tracce inconfondibili di una scogliera più recente attestano che l'antico margine costiero fu disarticolato e nella parte che rimase sommersa si insediarono ricche associazioni faunistiche con abbondanti coralli e gasteropodi. Al passaggio con l'Era Cenozoica circa 65 milioni di anni fà, il mare si ritirò da tutta la zona che emerse per circa quaranta milioni di anni. I geologi chiamano tale intervallo "lacuna paleogenica". Sull'isola o sulle ampie isole emerse, lo scorrimento delle piogge creò un reticolo di fiumi e torrenti e le rocce carbonatiche che costituivano la regione furono interessate da estesi fenomeni carsici. La regione rimase "all'asciutto" fino all'epoca miocenica quando il mare la sommerse nuovamente. Un fitto alternarsi di strati rocciosi costituiti da marne, calcari detritici e calcareniti poggia direttamente sui terreni della scogliera e segna appunto l'ultimo ritorno del mare prima del definitivo sollevamento montuoso.
Tale evidenza chiamata "trasgressione miocenica" è visibile sempre sulla strada per Capranica Prenestina, laddove è messa in evidenza lungo il lato sinistro da tagli stradali. L'Africa già dalla fine dell'Era Mesozoica, iniziò un lento riavvicinamento all'Eurasia, per cui i sedimenti marini insieme alle rocce di origine vulcanica formatesi nei fondali della Tetide furono costretti in uno spazio sempre più ridotto. La parte superiore dei fondali con i sedimenti accumulati lungo il bordo meridionale della Tetide, si sollevarono a formare la catena dell'Atlante, l'Appennino, le Alpi Meridionali e le Dinaridi.
Così verso la fine dell'Era Terziaria anche il settore centrale dell'Appennino con i monti Sabini, Lucretili, Ruffi, Tiburtini e Prenestini subiva il definitivo sollevamento montuoso.

I diagrammi C e D illustrano le fasi finali del sollevamento montuoso dell’Appennino centrale. Particolarmente nel diagramma D si evidenzia la struttura a falde che caratterizza la catena montuosa.

La zona compresa fra Rocca di Cave, Capranica e Guadagnolo reca le testimonianze del graduale assottigliarsi del mare. La regione all'epoca doveva assomigliare molto all'attuale Golfo Persico. Negli strati più antichi di questo complesso di rocce chiamate "Formazione di Guadagnolo" si rinvengono ancora denti di squalo, mentre frequenti sono anche i rinvenimenti di coralli e echinidi, quali i ricci di mare. L'aumento nelle rocce della quantità di argille, racconta al geologo di fiumi che scaricavano a mare i prodotti della demolizione di catene montuose già emerse prevalentemente verso Nord, e che andavano modellando lentamente la forma dello stivale. Le pieghe degli strati, le rocce contorte e strizzate che si osservano localmente, le fratture dei pacchi rocciosi e il loro orientamento, consentono di riconoscere anche l'ultimo dei grandi eventi della lunga storia geologica della regione. Infatti il settore occidentale della neonata catena appennica, a partire dall'epoca pliocenica circa 4 milioni di anni fa, si assottigliava e sprofondava, formando così il mare Tirreno. Attraverso ampie fratture della crosta si sviluppava il vulcanismo della nostra regione, i cui prodotti sotto forma di estese coltri di tufi, si osservano anche nei fondovalle che circondano l'area di Rocca di Cave e dei monti Prenestini.